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Burkina Faso – Il duro lavoro sanitario per i bambini malnutriti nelle provincie del Sahel, sotto la pressione dei jihadisti e del numero crescente di sfollati interni

martina
23 Ottobre 2020
Le Migrazioni, Storie

di Giulia Puppin, LVIA

In Burkina Faso, nella provincia dell’Oudalan, all’estremo Nord del Paese, la situazione di insicurezza peggiora di giorno in giorno per via delle incursioni di gruppi armati jihadisti, ormai presenti nell’area del Sahel. Gli ultimi dati calcolano che ci sono tra il Burkina Faso e il Mali circa 1 milione e mezzo di sfollati interni.

Si tratta di famiglie, in gran parte donne e bambini, che per sfuggire al regime del terrore, imposto dai gruppi armati radicali presenti in quella area, abbandonano i loro villaggi e si rifugiano nelle città di provincia o, comunque, in zone meno isolate e più sicure. Alcuni nuclei familiari si fanno ospitare da parenti e conoscenti, altre si sistemano all’interno di scuole, ormai quasi tutte chiuse, oppure in edifici pubblici non utilizzati, altre ancora, e sono sempre di più, in campi nati spontaneamente fuori dalle aree urbane.

In questo scenario, la malnutrizione infantile continua ad essere un’emergenza: i dati emersi da un’inchiesta nutrizionale, condotta tra luglio e agosto del 2020, a Gorom-Gorom hanno indicato che: per i bambini sotto i 5 anni vi sia una prevalenza della malnutrizione acuta del 18% e della malnutrizione acuta severa – una forma più grave di malnutrizione – del 6%, tre volte superiore alla soglia di allerta fissata dall’OMS.

Sanogo Issa, nutrizionista di LVIA racconta “Mi occupo di pianificare e supervisionare le attività del progetto di lotta alla malnutrizione infantile e di raccogliere i dati per stilare i report di monitoraggio. A causa dei continui attacchi armati, c’è un clima di insicurezza che minaccia lo svolgimento stessa del nostro lavoro. Nonostante il percorrere alcune strade sia diventato molto pericoloso, cerchiamo di far arrivare gli operatori sanitari anche nei villaggi più isolati per poter garantire a tutti le cure mediche necessarie, soprattutto ai bambini colpiti da malnutrizione acuta. Quello che non ci fa sì che non si desista dall’affrontare tanti rischi è il constatare che i bambini guariscono e ritrovano il loro sorriso e quello dei loro genitori grazie a quanto facciamo.”

La situazione sanitaria è grave in tutta la provincia e non solo per i bambini: ad oggi 12 centri di salute sono stati chiusi, su 23 esistenti, il motivo va ricercato nella mancanza di condizioni pur minime di sicurezza per permettere che rimanessero aperti. Quelli rimasti aperti, o che hanno potuto riaprire dopo essere stati chiusi, funzionano a basso regime oppure sono sotto pressione per il numero alto di sfollati da assistere.

È il caso del Centro di salute urbano di Gorom-Gorom, che insieme all’Ospedale provinciale, si è ritrovato nel giro di poco più di un anno a dover gestire un numero di persone praticamente raddoppiato.

Guitti Alimata e Kadidiatou Cissé sono due infermiere che lavorano nel Centro di salute di Gorom Gorom. Sono due dei 21 infermieri volontari selezionati da LVIA e inseriti presso i centri di salute sotto pressione, dove il personale sanitario dello Stato è insufficiente. Sono giovani del posto, molto motivati, ed è grazie a loro se oggi 9 centri di salute, degli 11 ancora in funzione, hanno potuto riaprire, garantendo, tra mille difficoltà, cure mediche di base alla popolazione locale.

“Con LVIA lavoro da 2 anni come infermiera nel Reparto pediatrico del Centro di salute di Gorom-Gorom. – spiega Guitti Alimata – Il mio lavoro consiste nel fornire assistenza infermieristica a tutti i bambini ricoverati di età compresa tra gli 0 e i 59 mesi gravemente malnutriti e che presentano complicanze. Il carico di lavoro nel reparto è sempre moltissimo perché il personale è insufficiente. Nonostante la situazione sia drammatica mi sorprende sempre la capacità degli operatori sanitari di combattere corpo e anima nel preservare la salute delle persone più vulnerabili.”

Kadidiatou Cissé aggiunge “Il lavoro è tanto e a volte le medicine che abbiamo a disposizione non bastano per tutti i pazienti. Dobbiamo cercare di avere pazienza e stabilire un dialogo con i genitori dei bambini che abbiamo in cura, perché non sempre riescono a seguire le complesse indicazioni delle terapie. La cosa positiva è che riusciamo a salvare la maggior parte dei bambini che seguiamo.”

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