Fame e pandemia un connubio imprescindibile
di Massimo Pallottino, Caritas Italiana
Si è concluso a Roma il Pre-Summit sui Sistemi Alimentari mondiali, che si è tenuto dal 26 al 28 luglio, e già l’attenzione è puntata verso il Vertice vero e proprio che si terrà nel prossimo settembre nella sede ONU a New York.
Risuonano le parole del messaggio inviato da Papa Francesco ai partecipanti dell’incontro romano “Produciamo cibo a sufficienza per tutti, ma molti restano senza il pane quotidiano. Questo ‘costituisce un vero scandalo’, un crimine che viola i diritti umani fondamentali.”
In un mondo nel quale, anche secondo il recente Rapporto SOFI, la fame da anni non cessa di aumentare e dove la pandemia ha visto un ulteriore aggravamento delle condizioni delle persone e delle comunità più fragili del Pianeta, è senz’altro un’ottima notizia che ci si fermi a riflettere sul modo con il quale l’Umanità può produrre il cibo necessario alla vita dignitosa di ogni persona. È necessario però che questa riflessione sia condotta nelle sedi proprie, ascoltando i contadini, i consumatori, le comunità locali, i popoli originari. Al centro devono essere i diritti e la dignità delle persone, nella prospettiva di percorsi democratici, inclusivi e trasparenti che possano portare a soluzioni giuste ed efficaci.
La pandemia è stata causata da una zoonosi – malattie trasmesse dagli animali all’uomo – ad iniziare da un evento per il quale un agente infettivo è riuscito a fare il “salto di specie” diventando pericoloso per l’uomo: una circostanza per nulla casuale e che è lecito attendersi anche in futuro. Già nel 2012, David Quammen – divulgatore scientifico statunitense – nel suo libro Spillover aveva descritto questo fenomeno come uno dei rischi principali per il futuro dell’Umanità.
«Invadiamo foreste tropicali e altri habitat selvatici, che ospitano moltissime specie di animali e piante – dove a loro volta hanno casa virus sconosciuti. Tagliamo gli alberi, uccidiamo gli animali oppure li mettiamo in gabbia e li vendiamo al mercato. Distruggiamo gli ecosistemi ed eliminiamo gli ospiti naturali dei virus. Quando ciò accade, i virus hanno bisogno di un nuovo ospite, e spesso quest’ospite siamo noi.»
Nulla di casuale, quindi, ma un effetto pressoché automatico della perdita di biodiversità che è la conseguenza altrettanto automatica del diffondersi di un modello agroindustriale nella produzione di cibo.
Anche per questo, come nel caso del Summit delle Nazioni Unite sui Sistemi Alimentari, è importante che non si facciano passi nella direzione sbagliata, introducendo ulteriori fattori di rischio nel sistema globale. Il pericolo di questo Vertice è quello di affidare la soluzione dei problemi della ‘fame nel mondo’ agli stessi attori e agli stessi modelli produttivi che si stanno rivelando i maggiori ostacoli alla sua soluzione.
La piccola agricoltura su scala familiare e territoriale produce più del 70% del cibo prodotto e consumato al mondo, più volte affermato dalla FAO, e la necessità di salvaguardare la nostra ‘Casa comune’ rende la prospettiva agro-ecologica rispettosa dell’ambiente l’unico orizzonte possibile per affrontare la questione.
L’ingombrante presenza del World Economic Forum di Davos tra gli sponsor principali del Summit pone invece l’agroindustria al centro dell’incontro e con questa un modello globalizzato ipertecnico e iperproduttivista, il cui fallimento e i cui rischi sono stati riconosciuti in molte occasioni. Inoltre, l’organizzazione del Vertice è stata affidata a figure controverse come quella di Agnes Kalibata, Presidente dell’Alleanza per la Rivoluzione Verde in Africa (AGRA) creata dalla Fondazione Rockefeller e dalla Fondazione Bill & Melinda Gates, da anni fortemente criticata per l’apertura del Continente africano alle colture transgeniche e all’agricoltura intensiva.
Nonostante la professione pubblica di inclusività, l’organizzazione del Summit e l’identificazione delle sue tematiche prioritarie ha seguito strade tortuose e poco trasparenti, mettendo da parte le Istituzioni ONU così come le legittime piattaforme delle organizzazioni della società civile organizzata e dei popoli Indigeni.
Come hanno sottolineato diverse autorevoli voci come quella di Vandana Shiva, il Summit propone un modello di governance che non tiene conto di ruoli e responsabilità specifiche dei diversi attori – governi, imprese, altri attori del settore privato, grandi fondazioni filantropiche, scienziati, ONG e movimenti sociali – ignorando le enormi asimmetrie di potere e risorse che esistono tra questi attori, e gli evidenti conflitti di interesse: tutto questo rappresenta una minaccia molto grave per un percorso che punti alla costruzione e al rafforzamento di sistemi alimentari democratici, rispettosi delle persone e dell’ambiente.
Viene indebolito il ruolo degli stessi Stati membri, facilitando un’indebita influenza degli interessi corporativi, si propone una lettura estremamente limitativa del contributo della scienza al miglioramento dei sistemi alimentari che non può non richiamare le parole di Papa Francesco sui pericoli del ‘paradigma tecno-economico’ (LS 53) che esclude le voci delle comunità e dei poveri.
Considerando le questioni sopra riassunte, anche il Gruppo internazionale di Esperti sui Sistemi Alimentari Sostenibili (IPES-Food), ha recentemente deciso di uscire dal gruppo che si occupa del Summit ed i suoi membri hanno rinunciato a tutti i loro incarichi nell’organizzazione: si tratta di figure note a livello internazionale, che hanno collaborato a molte iniziative delle Nazioni Unite e la loro presa di posizione rappresenta un passo assai significativo.
Rivolgendosi ai partecipanti al Pre-Summit di Roma, Papa Francesco esprime con chiarezza il rischio delle possibili derive. Nel riaffermare la necessità di rimettere al centro la dignità della persona umana e di adottare politiche coraggiose per il settore rurale e l’agricoltura, che possano realmente contribuire a sradicare le ingiustizie, il Santo Padre ha aggiunto: “Siamo consapevoli che interessi economici individuali, chiusi e conflittuali – ma potenti – ci impediscono di progettare un sistema alimentare che risponda ai valori del Bene Comune, alla solidarietà e alla ‘cultura dell’incontro’. Se vogliamo mantenere un multilateralismo fecondo e un sistema alimentare basato sulla responsabilità, la giustizia, la pace e l’unità della famiglia umana sono fondamentali. La crisi che stiamo affrontando è in realtà un’opportunità unica per impegnarsi in dialoghi autentici, audaci e coraggiosi, affrontando le radici del nostro sistema alimentare ingiusto.”
Il dialogo va dunque mantenuto, ma nella ‘parresia della denuncia’, che Papa Francesco ha indicato come via maestra per il nostro impegno. Anche a fronte di un evento che beneficia di una forte risonanza mediatica e istituzionale, occorre mantenere alta l’attenzione a questi elementi di criticità. In positivo, occorre invece rinforzare e valorizzare quanto già esiste, come il Comitato delle Nazioni Unite per la sicurezza alimentare mondiale (CFS), che è la principale arena intergovernativa inclusiva per la definizione delle politiche internazionali sul cibo, fondata su un approccio basato sui diritti umani, e improntata a criteri di vera inclusività dove tutti possono far sentire la loro voce.
Per questo la larga maggioranza delle organizzazioni della società civile e dei popoli indigeni ha deciso di disertare il Vertice, promuovendo una mobilitazione globale e iniziative alternative volte a rimettere le persone al centro del dibattito su questi temi, e ad evitare il rischio di ‘cattura corporativa’ del dibattito sui sistemi alimentari.
Più di 300 gruppi e movimenti della società civile, accademici e popoli indigeni, tra i quali La Via Campesina, hanno organizzato un contro-Vertice, nel quale, con lo slogano ‘non in nostro nome!’ hanno dichiarato di non voler essere rappresentati in un Summit dove siedono per la maggior parte rappresentanti delle multinazionali e dell’agri-business.
È necessario l’impegno e l’azione di tutti per promuovere un diverso modo di affrontare le sfide del futuro, facendo proprie le parole di Papa Francesco: “Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni gruppi. Così acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo complementare l’azione dello Stato.” (FT 175)
Tutte le evidenze dicono che la pandemia da COVID-19 non è stata né la prima né sarà l’ultima tra le zoonosi pericolose per l’Umanità. L’adozione di sistemi alimentari realmente sostenibili è una delle condizioni necessarie per controllare questo fenomeno le cui terribili implicazioni stiamo ancora sperimentando. Per questa ragione, al di là della retorica di molte dichiarazioni pubbliche è necessario che il percorso che porterà al Summit mondiale di settembre trovi delle modifiche significative, per impedire che diventi una pietra miliare non della soluzione al problema della fame, ma di una deviazione significativa da un percorso globale di sostenibilità e da un cammino di ascolto dei popoli e delle comunità.