I fiori fra le macerie del terremoto
Danilo Feliciangeli, Caritas Italiana, racconta l’importanza di progetti che siano capaci di andare oltre e di ricostruire comunità divise grazie alla forza delle relazioni: il progetto Come fiori fra le macerie. Replicabile anche in altri territori del Paese, ne è un esempio.
«Non solo tantissimi bisogni attuali. Ma anche una totale mancanza di speranza nel futuro».
Il racconto di Danilo Feliciangeli, referente Caritas Italiana per i progetti in Medio Oriente, tornato il 9 marzo dalla Siria dove si è recato per pianificare i prossimi interventi dell’organismo caritativo della CEI a favore della popolazione locale.
«Quello che è successo ormai è troppo. Anche il terremoto no. Ktir, ktir, dicono i siriani. Troppo. Per la prima volta ho visto un popolo sfiduciato che fino ad ora, nonostante i 12 anni di guerra, era riuscito a mantenere la speranza nella prossima fine del conflitto. Ma adesso le persone sono veramente stanche, logorate, divise.»
La Siria, infatti, fino al 2011 era un mosaico di culture, di correnti politiche, di religioni data la compresenza di sciiti, sunniti, alawiti e cristiani; tuttavia la guerra ha lacerato il mosaico di pace siriano lasciando le sue comunità, un tempo unite, divise dalla paura.
«Nessuno ora, nelle aree governative, considera Idlib o le zone del nord-est come parte della Siria. Quando domandi a qualcuno “cosa succederà in quelle aree del paese?” non sa cosa rispondere per il semplice fatto che non considera più quei territori come Siria. Al pari dell’Austria o della Francia per un italiano. Infatti mi è capitato che diversi siriani a cui avevo posto la domanda, mi abbiano risposto: “Ho già tanti problemi, non ho la forza di impiegare energie mentali per comprendere se mai il governo riuscirà a siglare un accordo con i curdi, o Idlib tornerà sotto il nostro controllo”. Questo è solo un esempio per sottolineare quanto sia ormai radicata la divisione all’interno delle comunità.»
Da questo punto di vista il progetto Come fiori fra le macerie, sostenuto a Damasco da Caritas Syria e Caritas Italiana e promosso nell’ambito della Campagna La pace va oltre, assume una valenza ancora più importante: «Perché è un progetto dedicato ai giovani siriani che sono gli uomini e le donne della Siria che verrà. Perché è un progetto che attraverso l’arte e la bellezza vuole ricostruire legami nelle comunità distrutte dalla guerra. E soprattutto Come fiori fra le macerie è un progetto che ha favorito l’incontro e la riconciliazione, perché in quello spazio vivo, dialogante, i giovani siriani non solo vengono guidati in un percorso di formazione professionale grazie ai corsi di artigianato e di discipline artistiche locali: ma attraverso cicli di eventi sul tema della pace e riconciliazione hanno ricostruito relazioni in un contesto amichevole e protetto, formandosi ai valori della convivenza civile.»
Ora il desiderio è di implementare questo progetto anche ad Aleppo, fra le città più impattate dal terremoto dello scorso febbraio.
«Su richiesta della Caritas di Aleppo si sta valutando l’idea di creare un centro giovanile nella città, dove i ragazzi possano stare insieme e frequentare corsi di arte, artigianato in grado di ben rappresentare l’identità aleppina. Come il corso dell’àjami [una decorazione tipicamente damascena, realizzata con stucchi e intasi di legno ndr] è stato per la comunità di Damasco. Ad esempio fra le varie idee circolate in questi giorni, c’è la possibilità di creare un saponificio in virtù dei saponi aleppini, famosi in tutto il mondo.»
Oggi, 15 marzo, cade il triste anniversario di una guerra lunga 12 anni, la cui fine sembra ancora lontana. «Lo dimostra il fatto che i primi di marzo è stato colpito l’aeroporto di Aleppo, città dove mi trovavo proprio in quei giorni. Mi sono svegliato per i boati nel cuore della notte. È stato traumatico per me, figuriamoci per loro; anche perché in quel momento non capisci cosa stia succedendo, o quale sia l’obiettivo dei bombardamenti. È importante ricordare che in Siria la guerra non è assolutamente finita e c’è la possibilità che si riaccenda da un momento all’altro. La popolazione è sotto stress, in preda allo sconforto e a traumi di natura psicologica. I bisogni sono enormi; basti ricordare, a riguardo, che oggi il 90% dei siriani vive in povertà. Negli occhi delle persone – mi diceva un giovane collaboratore di Caritas Siria – leggi solo tristezza e nessuna speranza nel futuro. Non era mai accaduto durante la guerra e nemmeno sotto la pandemia. Le persone hanno gli occhi spenti, stanchi. I siriani oggi sono come dei blocchi di cemento, sopravvissuti ma inerti, fermi. Ed è normale dopo tutto quello che hanno subito: i 12 anni di guerra, la povertà conseguente alla guerra, la crisi finanziaria in Libano che ha impattato violentemente anche la Siria, il Covid, il terremoto. È troppo. Basta. Ora i siriani dicono che si aspettano l’attacco degli alieni; in pratica manca solo quello. Però a quei siriani è rimasta una qualità preziosa che la guerra non è stata in grado di distruggere: l’ironia, capace di lacerare il velo della paura e portare alla luce strappi di libertà».