La crisi libanese e il valore delle rimesse dei migranti
Fonte immagine: [Houssam Shbaro/Anadolu Agency]
Negli ultimi tre anni, il Libano sta affrontando quella che la Banca Mondiale descrive come la peggiore crisi economica dell’era moderna. La crisi ha quasi spazzato via il valore della valuta locale e gettato oltre l’80% dei cittadini al di sotto della soglia di povertà. Mentre un milione e mezzo di siriani, che oggi rappresentano un quarto della popolazione libanese, per il 99% vivono in condizioni di povertà estrema.
Al 20 dicembre del 2022, il tasso di cambio del mercato nero della lira libanese era pari a 44.400 lire per un dollaro USA, mentre nel mese di genna io 2023 il valore della lira era caduto ulteriormente sfiorando gli oltre 60.000 lire per un dollaro.
La valuta ha perso più del 95% del suo valore di mercato rispetto al dollaro dal 2019. Mentre la situazione continua a degenerare, le banche e le autorità libanesi continuano a eludere la responsabilità del loro ruolo, che le stesse Nazioni Unite descrivono come una “violazioni dei diritti umani“.
La crisi umanitaria è conseguenza della crisi politica. Il Libano è guidato da un Governo provvisorio ed è senza Presidente, i legislatori hanno ripetutamente fallito elezione di un successore di Michel Aoun, il cui mandato è scaduto alla fine di ottobre. L’impasse politica ha ostacolato gli sforzi che consentano di far uscire il Paese dei Cedri dalla sua peggiore crisi economica-finanziaria di sempre.
La Francia è stata la sede, nei giorni scorsi, di un incontro internazionale durante il quale si è cercato come porre fine a mesi di stallo politico nel Libano, afflitto da problemi di liquidità[1]. Mesi di stallo politico che hanno impedito le riforme vitali per sbloccare i miliardi di dollari previsti dagli aiuti esteri. All’incontro hanno partecipato oltre ai rappresentanti della Francia anche quelli degli Stati Uniti, Arabia Saudita, Qatar ed Egitto. Tuttavia, senza un particolare successo[2].
La Francia ed i partner regionali, tra i quali l’Arabia Saudita, hanno discusso i mezzi per “incoraggiare la classe politica libanese ad assumersi le proprie responsabilità e a promuovere una via d’uscita dalla crisi”, delineando un possibile identikit del nuovo Presidente.
Mentre i Paesi più interessati a risolvere la crisi libanese cercano di spingere i politici libanesi a trovare un accordo, la situazione è di giorno in giorno sempre più drammatica.
Valeria Rando, ricercatrice italiana in Libano, scrive: “Cammini per le strade di Sidone (Saida in arabo) e all’odore di mare e della pesca si accosta quello dei rifiuti rovistati. Freschi, umidi e “sbudellati” come le carcasse di animali che giacciono sottosopra sui banchi del mercato della carne. È un mondo, questo di Sidone, nel Sud del Libano, tutto rivoltato. Dove i bambini non vanno a scuola perché sono costretti a chiedere l’elemosina per strada, e dove le scuole si svuotano anche degli insegnanti che uno dopo l’altro emigrano chissà dove. Nelle strade, le macchine senza carburante sono parcheggiate in eterno e al traffico di auto si sostituiscono gruppi di studenti che camminano e che non hanno di che studiare, e genitori rinsecchiti dalla fame che non hanno di che lavorare, e sì, anche gruppi di turisti inebetiti che fotografano e fotografano pur non avendo di che fotografare. (…) E capita anche che si avvicini una bambina che chiede your leftovers, i tuoi avanzi. Questa è l’immagine che rappresenta la situazione che adesso sta vivendo la popolazione, l’agonia di interi villaggi del Libano: bambini affamati attorno ai cassonetti, che si contendono avanzi di cibo con i topi.” [3].
Una situazione che il 3 gennaio scorso Save the Children ha denunciato: se non verranno prese misure urgenti il numero dei bambini che soffrono la fame aumenterà del 14% all’inizio di quest’anno; quattro bambini libanesi e siriani su 10 stanno affrontando un’insicurezza alimentare acuta elevata.
In questa crisi chi ha la possibilità emigra. Sta crescendo un nuovo flusso migratorio, centinaia di famiglie cercano di intraprendere il pericoloso viaggio attraverso il Mediterraneo in cerca di lavoro[4]. Il Libano è così diventato il Paese al mondo più dipendente dalle rimesse, grazie a decenni di corruzione sistemica e cattiva gestione nel settore finanziario.
I migranti, grazie alle loro rimesse, sono diventati i principali responsabili del sostegno alle famiglie, alla società ed all’economia del Paese. Le rimesse sono complementari e, purtroppo, alle volte sostituiscono l’assistenza al welfare delle popolazioni in crisi. Se l’aiuto pubblico allo sviluppo non è sufficiente (vedi home – campagna 070) e, soprattutto, se i politici libanesi non riescono a prendere decisioni per adottare le riforme necessarie, le famiglie ricorrono a chi li può aiutare direttamente e cioè ai propri figli o parenti all’estero, migranti. Ecco che le diaspore diventano, come nel caso del Libano, il principale attore del mantenimento di condizioni di vita dignitose nel loro Paese di origine. Pur tuttavia questa modalità non dovrebbe creare una relazione di dipendenza continua.
Le rimesse dall’estero hanno costituito oltre la metà del prodotto interno lordo (PIL) del Libano nel 2021, rendendo il Paese, colpito da questa crisi caRastrofica, più dipendente dalle rimesse al mondo. Secondo un Rapporto pubblicato all’inizio di dicembre 2022 dalla ONG statunitense Mercy Corps, le rimesse si sono trasformate in una strategia di assistenza per molti, in assenza delle decisioni politiche per attuare un piano di ripresa e riforme economiche. Il documento evidenzia come nel 2021 il denaro inviato dall’estero dalla diaspora libanese ha rappresentato il 53,8% del PIL del Paese, che si è attestato a 18,08 miliardi di dollari. Mercy Corps stima che tra il 15 e il 30% delle famiglie libanesi attualmente dipende dalle rimesse come fonte di reddito[5].
Di queste famiglie, il 32% ha dichiarato di non poter coprire le proprie spese senza le rimesse, mentre il 41% ha dichiarato di non poter coprire nemmeno i bisogni più elementari senza un aiuto finanziario dall’estero. Gran parte delle rimesse – fino al 70% secondo alcuni esperti –entrano in Libano portate dai viaggiatori all’aeroporto di Beirut. D‘altra parte, alcuni economisti hanno avvertito che un’economia così dipendente dalle rimesse rischia di distogliere la spesa dai settori produttivi e di ostacolare la crescita a lungo termine.
Le rimesse sono oggi essenziali per non far cadere le famiglie ancor più in povertà, ma non sostituiscono le riforme economiche e sociali o l’assistenza umanitaria e allo sviluppo necessarie come quella portata avanti dalle Organizzazioni che fanno parte della Campagna “La pace va oltre. Sostieni la speranza – FOCSIV”. La risposta deve essere politica.
[1] Informazioni tratte da France to host international meeting on crisis-hit Lebanon on Feb. 6 | Al Arabiya English
[2] Si veda Paris meeting over Lebanon: Little hope for breakthrough – Ya Libnan
[3] Informazioni tratte dall’articolo Libano nel caos, le prime vittime sono i bambini | Left di Valeria Rando.
[4] Informazioni da https://thecradle.co/Article/News/16055
[5] Informazioni tratte dall’articolo I migranti libanesi responsabili di oltre la metà del PIL libanese (thecradle.co)