La “cultura della cura”: nuove basi per una società pacifica e coesa
di Massimo Pallottino, Caritas Italiana
Il messaggio di Papa Francesco per la Giornata della Pace 2021 segna un passo importante nella costruzione di una vera alternativa antropologica, ancor prima che sociale e politica, alla situazione di profonda crisi nella quale l’umanità intera versa e nella quale è sprofondata ancora di più a causa della pandemia: la ‘cultura della cura’ è davvero la prospettiva nella quale costruire un futuro di pace?
Secondo Papa Francesco, la cultura della cura, come “impegno comune, solidale e partecipativo per proteggere e promuovere la dignità e il bene di tutti” e “disposizione ad interessarsi, a prestare attenzione, alla compassione, alla riconciliazione e alla guarigione, al rispetto mutuo e all’accoglienza reciproca”, costituisce una via privilegiata per la costruzione della pace, per “debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro, oggi spesso prevalente.”
La cultura della cura si costruisce attraverso quattro principi fondamentali: la dignità e dei diritti della persona, per la quale Papa Francesco ricorda il forte radicamento nella storia del cristianesimo, che significa “sempre relazione, non individualismo, afferma l’inclusione e non l’esclusione, la dignità unica e inviolabile e non lo sfruttamento”. È persona’. Non strumento, ma fine in sé stessa, che vuol dire dignità che fonda i diritti e i doveri, come “la responsabilità di accogliere e soccorrere“.
La cura del bene comune, fine della vita sociale, politica ed economica, vale a dire de «insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono sia alle collettività sia ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più celermente». Ce lo mostra proprio la pandemia, che ci rende «tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme» poiché «nessuno si salva da solo» e nessuno Stato nazionale isolato può assicurare il bene comune della propria popolazione.
La solidarietà esprime concretamente l’amore per l’altro, una «determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti». Nessuna persona umana è un dato statistico, ma ognuno è nostro prossimo, compagno di strada.
Infine, la cura e la salvaguardia del Creato, conseguenza del prendere atto pienamente dell’interconnessione di tutta la realtà creata, che pone in risalto l’esigenza di ascoltare nello stesso tempo il grido dei bisognosi e quello del Creato. «Pace, giustizia e salvaguardia del creato sono tre questioni del tutto connesse, che non si potranno separare in modo da essere trattate singolarmente, a pena di ricadere nuovamente nel riduzionismo».
Tra i molti elementi suggeriti dal Messaggio del Papa, ce ne sono alcuni che meritano di essere sottolineati, per il loro particolare peso nella costruzione di una società più giusta e inclusiva.
Il primo di questi riguarda la profondissima connessione tra l’idea di ‘cultura della cura’ e l’idea di pace, in particolare di ‘pace positiva’: una pace imperfetta ma durevole, dove atteggiamenti, istituzioni e strutture creano e sostengono società pacifiche, e i cui segni distintivi sono, tra gli altri: cooperazione, equità/uguaglianza, cultura di pace e dialogo. Sono le caratteristiche di una società in cui l’insorgere di conflitti e contrapposizione viene affrontato e ‘trasformato’ grazie alla nonviolenza1.
Una società di pace è una società coesa, in cui nessuno viene lasciato indietro, e dove il tema della relazione è centrale.
Il secondo elemento importante riguarda la possibile contrapposizione tra una dimensione di ‘cura’, nella sua prossimità, concretezza e specificità e una tensione ‘trasformativa’, nella direzione di una società globalmente più giusta. Spesso l’elemento di vicinanza concreta alle persone più povere e più vulnerabili è stata criticata come una forma di ‘narcotico sociale’ – secondo altri una forma di ‘tangente’, social bribery, pagata alle fasce sociali più fragili2 – che impedisce il cambiamento attenuando gli effetti più pronunciati di una società basata su meccanismi ingiusti. Si tratta di una obiezione importante, che ci aiuta a porre nella giusta prospettiva la necessità di garantire la concretezza della dignità di tutte e tutti senza perdere la spinta verso un cambiamento di sistema.
Tuttavia, la cura non è mera assistenza: è attenzione che sfida la logica del mercato. Questo punto emerge con chiarezza nel Messaggio del Papa, che trova importanti consonanze con riflessioni di origini assai eterogenee: “Il lavoro di cura ha una sua velocità – p. es., nutrire un bambino o una persona inferma – e componenti emotive e altruistiche, diverse dal contratto di mercato tra pari; poiché spesso è un processo sociale tra persone disuguali”3 dove la disuguaglianza diventa un elemento di attenzione, che motiva l’azione in una logica di riduzione dell’asimmetria; non la conseguenza, non meccanicamente necessaria ma spesso pensata come tale, dell’azione stessa del mercato.
Tale prospettiva trasformativa è profondamente radicata nella proposta enunciata dal Messaggio di Papa Francesco, che presenta la cultura della cura come inseparabile dalla preoccupazione per la giustizia. Diritti, bene comune, solidarietà, cura del creato: si tratta di quattro elementi inscindibili, in cui le piccole trasformazioni possibili della pratica quotidiana non sono pratica autoassolutoria rispetto ad un cambiamento radicale e impossibile; ma richiesta di adottare una prospettiva diversa, una vera e propria ‘bussola’ «per imprimere una rotta comune al processo di globalizzazione, una rotta veramente umana»4
Abbiamo già segnalato le evidenti connessioni dell’idea di ‘cultura della cura’ con le migliori espressioni della cultura pacifista e nonviolenta. Tuttavia, per una società coesa e accogliente è necessario trovare una convergenza, una vera alleanza tra le donne e gli uomini che abitano il Pianeta. Questo è il forte richiamo della recente Enciclica Fratelli Tutti, nella quale Papa Francesco ci chiama a ‘costruire insieme’, senza dimenticare quello che siamo, ma costruendo un “autentico dialogo sociale [che] presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi. A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo. È vero che quando una persona o un gruppo è coerente con quello che pensa, aderisce saldamente a valori e convinzioni, e sviluppa un pensiero, ciò in un modo o nell’altro andrà a beneficio della società. Ma questo avviene effettivamente solo nella misura in cui tale sviluppo si realizza nel dialogo e nell’apertura agli altri.” (FT 203)
Proprio sull’idea di ‘cultura della cura’ si manifestano insospettabili convergenze con il pensiero economico femminista, che riconosce “l’imperativo della crescita, dell’efficienza e del rapido ritorno sugli investimenti che esternalizza la riproduzione sociale e la rigenerazione della natura: elementi definiti come improduttivi, al di fuori del mercato e della produzione di valore, mentre allo stesso tempo l’economia di mercato li sfrutta come risorse flessibili, ad esempio il lavoro di cura non retribuito svolto dalle donne. Costantemente, il mercato capitalista impoverisce e distrugge le proprie fondamenta viventi nella società e nella natura.”5
Da questa analisi si costruisce la proposta di una economia diversa facendo appello a concetti di cura, di ‘bene comune’ e di rispetto per la nostra Casa comune – la Pacha Mama del Buen Vivir andino – profondamente collegati a quelli espressi dal Messaggio per la Giornata per la Pace.
È proprio l’originale proposta di ‘società della cura’ ad essere l’oggetto posto al centro del dibattito da una vasta ed eterogenea galassia di movimenti sociali, associazioni, attivisti che hanno in qualche modo profeticamente anticipato di pochi mesi il Messaggio di Papa Francesco, riconoscendo molte delle stesse priorità e degli stessi temi: la conversione ecologica della società; lavoro; reddito e welfare nella società della cura; la riappropriazione sociale dei beni comuni e dei servizi pubblici; la centralità dei territori e della democrazia di prossimità; pace, cooperazione, accoglienza e solidarietà; scienza, tecnologia e finanza al servizio della vita e dei diritti.
La chiave di lettura della ‘cultura della cura’ è, quindi, una proposta in qualche modo innovativa, che sottolinea le convergenze con un pensiero sulla pace in grado di andare al di là della semplice ‘assenza di violenza’; che riconcilia la tensione di prossimità con la necessità di una profonda trasformazione di sistema; che rilegge e rilancia elementi sottolineati da tante donne e tanti uomini ‘amati dal Signore’, preoccupati per il destino dell’Umanità e della nostra ‘Casa comune’.
1 Peace by peaceful Conflict transformation – the TRANSCEND approach. In C. Webel & J. Galtung (A c. Di) // Handbook of peace and conflict studies (pagg. 14–32). Routledge.
2 Prato, S. (2014). Editorial: The Struggle for Equity: Rights, food sovereignty and the rethinking of modernity.
3 Occupy Development – Towards a caring economy. Wichterich, C. (2013).
4 Messaggio per la LIV Giornata Mondiale della Pace, No. 7
5 Wichterich, cit. (mia traduzione)