La guerra non sembra mai essere arrivata a Damasco
Di Chiara Bottazzi, Caritas Italiana
Eppure si materializza sempre sotto forma di immagini che contornano la monumentale porta muraria nel quartiere di Babtouma, nel centro della città vecchia di Damasco. Sono volti di ragazzi belli e armati, dagli occhi intensi, martiri della Siria che verrà. Una Siria che è piena di martiri ancora vivi, giovani se non giovanissimi che costituiscono più della metà della popolazione totale.
E proprio a Babtouma quartiere popolare della Capitale siriana è nato il primo Centro giovani di Caritas Siria. Si trova in un’antica casa con la corte rettangolare all’aperto. Un luogo bello dove i ragazzi e le ragazze, indipendente dalla loro fede o dal credo politico, hanno la possibilità di formarsi, riunirsi, confrontarsi, o semplicemente di staccare per qualche ora la spina da una guerra che dura ormai da 11 anni. Nel Centro, fra le varie attività proposte, si svolge il Corso per imparare l’arte dell’àjami: una decorazione tipicamente damascena, intessuta di motivi geometrici e floreali che un tempo rivestiva le case, le moschee, le chiese della città. Una tradizione che negli anni è andata perduta. Il significato di questo laboratorio non è solo aritstico: è connettivo, terapeutico.
“L’arte permette di riavvicinare quelle relazioni, ma anche quelle parti di noi stesse che con la guerra sono andate distrutte”, racconta Asiya.
27 anni, originaria di Da’ra, la cittadina dove sono iniziate nel 2011 le prime manifestazioni antigovernative. Suo padre è scomparso nel 2012. Da allora, e sono trascorsi 10 anni, nessuno ha avuto più sue notizie. “L’àjami mi permette di pensare a lui, di tenermi viva. È un modo per continuare a sperare nel futuro” racconta Asiya.
“È qualcosa di bello che fiorisce, nonostante la guerra. Come i fiori fra le macerie” a parlare questa volta è Marie Noor, cristiana. Si è sposata qualche mese fa. “Al corso ho incontrato delle persone splendide. Con molte di loro sono diventata amica. La religione, cristiana, musulmana, non è mai stata un problema.”
Le partecipanti al laboratorio sono tutte ragazze intorno ai 30 anni. “Gli uomini non ci sono. O sono al fronte al combattere oppure sono fuggiti per evitare di andare in guerra” afferma Jacqueline, Coordinatrice del progetto per Caritas Siria.
“Prima l’àjami era un’arte solo maschile. Ora la maggioranza dei partecipanti al laboratorio è costituita da ragazze. La Siria sta diventando un paese di sole donne. Sono infatti le donne a gestire in totale autonomia le famiglie; spesso lavorano anche perché lo stipendio mensile dato ai militari è ridicolo: circa 100-150 dollari, a malapena sufficienti per mangiare” racconta Jacqueline.
La guerra unita alla persistente crisi nel vicino Libano, ha determinato un aumento costante del carovita che va di pari passo con la crescita della micro criminalità. Si ruba per non morire di fame. Anche la sanità è diventata inaccessibile, soprattutto nei casi di patologie croniche o tumorali.
“Un primo trattamento per combattere il cancro, può costare fino ai 2mila dollari”, continua Jacqueline. “In pratica se ti ammali gravemente sei già morto. Purtroppo il nostro centro è frequentato da due ragazze che hanno entrambe il cancro al seno. Cerchiamo di fare il possibile per aiutarle. Frequentano ogni giorno il laboratorio di àjami perché in quel luogo, hanno trovato uno spazio. Che le accoglie e le protegge, anche da loro stesse.”
La Siria ha da poco varcato la soglia nera dell’undicesimo anno di guerra. Il bilancio umano è altissimo. Ai martiri del conflitto, sui quali ormai anche le statistiche governative e internazionali hanno perso il conto, si sommano i martiri ancora in vita: tra questi, tantissime donne che lottano senza armi per tenere in vita una società lacerata.
Al Centro della Caritas al posto dei mitra e dei fucili d’assalto hanno nelle mani pennelli e piccole spatole: per ricostruire con la bellezza, i vuoti lasciati dalla morte.