Covid e la crisi del lavoro
Andrea Stocchiero, FOCSIV
Domenica scorsa Papa Francesco, durante l’Angelus, ha espresso “l’auspicio che, con l’impegno convergente di tutti i responsabili politici ed economici, si rilanci il lavoro: senza lavoro le famiglie e la società non possono andare avanti. Preghiamo per questo, è e sarà un problema della post-pandemia: la povertà, la mancanza di lavoro. E ci vuole tanta solidarietà e tanta creatività per risolvere questo problema”.
Aisha in Bangladesh si è trovata da un giorno all’altro senza lavoro. La sua piccola impresa tessile è senza ordinativi dalle grandi aziende europee. Ibrahim in Libano non può più vendere i suoi prodotti di ortofrutta al mercato perché è chiuso. Fatima, colf emigrata in Sudafrica è stata buttata fuori dalla famiglia dove lavorava. Pedro in Perù vendeva artigianato ai turisti. Ora non sa che fare. Tutti e tutte senza possibilità di cassa integrazione o redditi di emergenza. Sono centinaia di migliaia queste storie in tutto il mondo e soprattutto nei paesi più fragili.
La crescente diffusione della pandemia nel sud del mondo sta preoccupando sempre di più la comunità internazionale per le sue conseguenze sociali e anche politiche. La questione del lavoro appare sempre più prioritaria e urgente soprattutto là dove l’economia è informale e dipendente dal mercato globale, dove mancano sistemi di protezione sanitaria e sociale. Dove le comunità locali impoverite e indebolite non sono più in grado di assorbire i colpi del Covid.
Siamo tutti legati nel mercato internazionale in filiere produttive e commerciali. Ma sono gli anelli più deboli della catena quelli che pagano le maggiori conseguenze del lockdown. Grandi marchi del tessile abbigliamento, ad esempio, hanno ridotto o annullato i loro ordinativi, da un giorno all’altro, lasciando sul lastrico piccole imprese e lavoratori. Il crollo del mercato turistico, della cultura ad esso legato, dei trasporti, ha effetti devastanti. Sono pochi i settori che in qualche modo si salvano, quello dell’alimentazione, essenziale per la vita, e quello delle armi, essenziale per la morte di cui si nutrono i giochi di potere e sopraffazione di Stati e interessi economici.
Gli impatti del Covid sul mondo del lavoro hanno aumentato le discriminazioni e le disuguaglianze, tra gli stessi lavoratori. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro indica quali sono le categorie di lavoratori che più stanno soffrendo delle conseguenze del Covid,
I più colpiti sono i terzisti delle catene di fornitura, i piccoli e micro-imprenditori con i lavoratori senza protezioni e compensazioni pubbliche. “Le donne, che detengono il 70% dei posti di lavoro nel settore sanitario e dell’assistenza sociale e sono quindi spesso in prima linea nella risposta alla crisi. Esse sono anche molto presenti nel settore dei servizi informali e nel settore manifatturiero ad alta intensità di manodopera. I giovani lavoratori, le cui prospettive occupazionali sono più sensibili alle fluttuazioni della domanda, e i lavoratori più anziani, che anche in tempi normali hanno difficoltà a trovare opportunità di lavoro dignitoso e sono ora gravati da un ulteriore rischio per la salute. I rifugiati e lavoratori migranti, specialmente quelli impegnati come lavoratori domestici e quelli che lavorano nell’edilizia, nell’industria manifatturiera e nell’agricoltura.”[1]
In particolare in Africa, la situazione dei piccoli imprenditori e dei lavoratori del settore informale è grave perchè mancano sussidi per far fronte alla crisi. “Essi sono spesso costretti a vendere i loro strumenti di lavoro per il bisogno immediato di consumo per la sopravvivenza. Inoltre, sono aumentati gli episodi di violazione dei diritti dei lavoratori, a cui vengono imposte detrazioni salariali, licenziamenti senza giusta causa, congedi forzati senza retribuzione ecc. La pandemia minaccia anche di annullare tutti i progressi compiuti nella riduzione delle peggiori forme di lavoro minorile.”[2]
Sono oltre 150 milioni i posti di lavoro a rischio nelle imprese informali impegnate in settori ad alta esposizione al Covid in Africa. “I più colpiti sono i riciclatori di rifiuti, i venditori ambulanti e i lavoratori nei settori dei trasporti, delle costruzioni, dell’edilizia e del lavoro domestico. Nei settori dei servizi, del turismo, dell’ospitalità, dell’arte e della cultura, compresi i piccoli contadini delle zone rurali o periurbane che producono per il mercato urbano. Le donne e le persone con disabilità sono particolarmente più vulnerabili. Così come i lavoratori migranti, sia nazionali che internazionali.”[3]
Molti Stati africani, ma anche asiatici e latinoamericani, non sono in grado di dare protezione ai propri lavoratori. Con il crollo del mercato si sono ridotte le entrate fiscali, le monete locali si sono svalutate e sono aumentati i costi dei debiti internazionali. Gli Stati sono quindi impossibilitati a prendere a prestito soldi freschi per dare protezione ai lavoratori e per sostenere i costi della sanità. Al contrario di quanto sta avvenendo in Unione Europea, dove il Consiglio europeo ha deciso di dare vita al Fondo per la Ripresa che prevede non solo prestiti ma anche aiuti a fondo perduto per gli Stati più colpiti, tra cui l’Italia. Ancora una volta essere nati nel paese e continente giusto fa un’enorme differenza per la propria vita. Ai lavoratori dei paesi impoveriti non rimane che tirare la cinghia nella speranza che riparta il mercato internazionale. Ma c’è chi non se lo può permettere.
La crisi con le sue ingiustizie può far crescere le tensioni e le proteste sociali contro i governi e gli Stati. Esse possono sfociare in crisi politiche e nel peggiore dei casi in ribellioni e conflitti violenti, con colpi di Stato. Senza lavoro, la pace e la coesione sociale sono a rischio, con inevitabili ricadute internazionali.
Questo è ad esempio il caso della Tunisia, dove l’aumento della disoccupazione, che in alcune aree depresse raggiunge oltre il 35%, ha dato luogo a proteste di massa, alla crisi del governo e recentemente a nuovi flussi di migranti verso le nostre coste. La costruzione di nuovi muri significherebbe non capire il problema reale. Ancora una volta è con la cooperazione e un sistema economico giusto e che protegge i lavoratori, che si dovrebbe rispondere.
La pandemia del Covid non sarà solo una grande tragedia se riusciremo a imparare alcune lezioni fondamentali: trasformare le relazioni economiche e sociali in nuove opportunità di coesione e pace, a partire dal mondo del lavoro con solidarietà e creatività.
[1] ILO Policy Brief, A policy framework for tackling the economic and social impact of the COVID-19 crisis, May 2020
[2] ILO Global Summit, COVID 19 and the World of Work. Covid 19 crisis in Africa: Building Back Better, Africa Regional Event 2 July 2020.
[3] Idem