Cile – I 5 mesi di quarantena pesanti soprattutto per i migranti presenti nel Paese e il lavoro di Aylin e le altre ragazze ospiti alla Fundación Madre Josefa
di Sara Braga, Good Shepherd International Fondation
“Sono sempre i più vulnerabili ad avere la peggio.” ci commenta Sonia Salas Baltierra, coordinatrice della missione di Talca della Fundación Madre Josefa, con il quale collabora Good Shepherd International Foundation (GSIF). È la drammatica precarietà della situazione dei migranti in Cile.
Nello scenario della crisi sanitaria internazionale e, in particolare, di quella cilena, causata dalla pandemia, la situazione di vulnerabilità della popolazione migrante residente nel Paese è notevolmente peggiorata. Molti sono in genere impegnati in lavori informali come, ad esempio, la vendita ambulante per strada e altri lavori precari, nella gran parte dei casi senza contratto.
Più del 30% del 1,4 milioni di migranti che vivono in Cile ha perso il lavoro durante la pandemia. 3 su 4 si ritrovano con un livello di reddito insufficiente per sostenere anche il fabbisogno alimentare della propria famiglia. Migliaia di persone che erano arrivate in Cile da paesi come Venezuela, Bolivia e Haiti non hanno ricevuto alcun aiuto da parte dello Stato, proprio a causa del loro status irregolare, che ha impedito loro di accedere a qualsiasi rete di protezione sociale.
Nel 2019 le missioni della Fundación Madre Josefa delle Suore del Buon Pastore, insieme alla Associazione hanno assistito quasi 3.500 migranti con programmi diretti volti a sostenere, accompagnare e promuovere i diritti popolazione migrante in generale e in particolare di donne e ragazze, realizzando anche campagne di prevenzione della tratta di esseri umani.
Durante la pandemia sono continuati l’accompagnamento e la consulenza in modo virtuale ai migranti delle comunità di Iquique, La Serena, Puente Alto, Talca e Temuco, mentre si dava una risposta immediata ai bisogni di base delle famiglie che continuano a vivere una grave crisi economica, che li trascina in condizioni di vera e propria povertà.
“Abbiamo continuato a assistere le nostre sorelle e i nostri fratelli migranti con un percorso di accompagnamento per l’integrazione sociale e di supporto psicologico nel periodo dell’isolamento con mezzi a distanza come il telefono, i social media, WhatsApp. Ci siamo subito preoccupati poi di ridurre l’impatto della pandemia offrendo supporto con pacchi alimentari e kit igienici per centinaia di famiglie più in difficoltà nelle diverse comunità in cui lavoriamo.” ci racconta Beatriz Villena Roco, Direttrice della Fundación Madre Josefa.
Le misure restrittive per la prevenzione della pandemia adesso in queste località sono state allentate, dopo più di cinque mesi di quarantena, tuttavia il rischio di contagio resta molto alto e la situazione di estrema vulnerabilità per la popolazione migrante permane e relegano i migranti tra gli ‘ultimi’ della società cilena.
Proprio in questi giorni è stata presentata dal Governo una proposta di legge sull’immigrazione, fortemente criticata dalle ONG e dalla societàà civile, nella quale si prevede di bloccare le frontiere cilene, costringendo i migranti a lasciare il territorio, riducendo all’irregolarità coloro che sono economicamente più emarginati.
La stessa Beatriz Villena Roco sottolinea come la pandemia ha reso evidente la debolezza delle politiche pubbliche nel proteggere i più poveri, che sono quelli che subiscono maggiormente le conseguenze della pandemia. Tra questi i migranti e in particolare le donne, che scontano il maggiore impatto di questa situazione. Una percentuale significativa lavorava nei servizi domestici: le restrizioni, provocate dalle misure messe in atto per contrastare il Coronavirus, e l’isolamento le hanno lasciate senza occupazione. Inoltre, il restare confinate in casa le hanno messe più a rischio di subire situazioni di violenza di genere. I dati registrati indicano che nel Paese vi è stato un aumento pari al 70% di casi segnalati.
Sono proprio le donne e le ragazze il principale pensiero della Fundación Madre Josefa e dell’Associazione “Ci sono molte madri migranti che si ritrovano da sole in Cile insieme ai loro bambini. Sono loro la nostra più grande preoccupazione. Abbiamo cercato di aiutarle più direttamente, perché sono proprio loro che perso tutto e non hanno davvero nulla.” ci descrive la loro situazione Sonia Salas Baltierra.
Ci sono, tuttavia, anche giovani madri come Aylìn, ospite della Casa di accoglienza per le madri sole migranti a Talca, gestita sempre dalla Fundación Madre Josefa, dove insieme alle altre si sono attivate a supporto della comunità locale con la produzione di maschere di stoffa realizzate insieme alle altre ragazze del Centro di formazione professionale. Aylin ci racconta “La realizzazione delle mascherine è stata per me un’occasione per imparare, ma soprattutto un arricchimento personale. Io stessa ho collaborato con gli altri e con il mio lavoro ho potuto aiutare molte famiglie migranti qui a Talca. In questo modo abbiamo prevenuto il contagio. Siamo un’unica grande famiglia e ci dobbiamo supportare l’uno con l’altro.”