L’effetto domino della guerra in Ucraina
Mentre tutti viviamo con apprensione gli sviluppi della situazione internazionale non emerge ancora, nella sua drammaticità, quanto gli eventi attuali impatteranno sulla vita di centinaia di milioni di persone. Questa guerra drammatica in Ucraina, che rischia di perdurare ‘fino alla vita dell’ultimo ucraino’, come ha paventato l’economista della Columbia University Jeffrey Sachs, produrrà effetti ben al di là di quelli immediati.
La guerra ferisce le persone: con decine di migliaia di vittime; con la sofferenza di chi ha subito delle menomazioni permanenti che dovrà faticosamente cercare un nuovo posto nella società; con chi ha visto la propria casa, la propria città rasa al suolo dalle bombe, luoghi e territori la cui ricostruzione necessiterà di molti anni. Tutto questo è comune a tutte le guerre che lacerano la famiglia umana, sempre troppe e troppo sanguinose.
Il conflitto odierno nel cuore dell’Europa, conseguenza della sconsiderata invasione dell’Ucraina da parte di Putin in un mondo sempre più polarizzato da alleanze militari, ha però caratteristiche tali da moltiplicare le sue conseguenze più distruttive e ad estenderle a popoli e territori apparentemente molto lontani.
Un primo elemento è quello che sperimentiamo già sulla nostra pelle in questi mesi: con un conto energetico in crescita vertiginosa, che sta mettendo a dura prova, soprattutto, le persone e le famiglie più vulnerabili. L’aumento del prezzo dell’energia innesca una serie di conseguenze e pesa sulla catena della logistica: il costo di trasporto aumenta in modo costante e generalizzato, scaricandosi sul prezzo di moltissimi beni anche di largo consumo e sulle tasche dei consumatori finali.
Se questo prezzo impatta in modo immediato e visibile, ben maggiore potrà essere il prezzo che l’umanità intera pagherà se, a causa della guerra, venissero rallentati i necessari percorsi di transizione ecologica. Da un certo punto di vista i vincoli all’approvvigionamento di fonti energetiche, resi più stretti con il conflitto in corso, indicano un’accelerazione nell’adozione di tecnologie energetiche più sostenibili, ciò non significa che nell’immediato che le cose vadano davvero così: si assiste ad una ripresa nell’uso del carbone, come ad un certo rilancio dell’ipotesi nucleare, che al di là dei rischi che può comportare, tutto può essere, tra l’altro, tranne che una modalità per differenziare a breve termine le fonti di energia.
L’assalto alla diligenza degli emendamenti proposti dall’Europarlamento sul piano del clima della Commissione preposta – già così poco avanzato – rappresenta un sintomo significativo di questa situazione.
La corsa al rialzo dei prezzi delle materie prime energetiche non ha trovato nella guerra in Ucraina il primo motore: questo aumento era, infatti, già in corso nei mesi precedenti, grazie al contributo determinante dei movimenti finanziari di carattere speculativo. La guerra in Ucraina è, dunque, da una parte la causa immediata di un ulteriore rincaro e volatilità dei prezzi delle materie prime energetiche e dall’altro, in misura ancora maggiore, la spia di un cattivo funzionamento dei mercati e delle catene di approvvigionamento, ancora, colpevolmente, troppo ancorati al fossile.
Un ragionamento analogo si può ricondurre agli effetti della guerra sul cibo: le conseguenze su questo sono, infatti, estremamente gravi e derivano dal blocco dei cereali intrappolati nei porti che si affacciano sul Mar Nero.
Attenzione però: come chiarisce Luca Russo, analista della FAO sulle crisi alimentari[1], non si tratta di una crisi ‘di quantità’: i cereali che mancano sono ‘solo’ 3 milioni di tonnellate su un totale di 780 milioni prodotti ogni anno a livello globale. Il problema è il prezzo dei cereali, al quale contribuisce l’aumento dei costi di trasporto e, in misura significativa, anche una forte speculazione sui prezzi delle derrate agricole.
Questo aumento dei prezzi, destinato a colpire in modo particolarmente pesante, soprattutto, nei paesi ‘consumatori’ come tutti i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Non è, comunque, l’unico fattore dell’aumento della fame globale, né forse il più importante.
Sempre Luca Russo ci ricorda che questa crisi alimentare è tutt’altro che nuova: il numero di persone che devono affrontare una grave insicurezza alimentare è cresciuto drammaticamente negli ultimi sei anni e la guerra in Ucraina è solo l’ultimo fattore di aggravamento di una situazione estremamente complessa.
Se è vero, infatti, che negli ultimi 20 anni a livello globale si sono registrati molti progressi nella riduzione del numero di persone che soffrono la fame, tuttavia negli ultimi anni si è registrata un’inversione di tendenza in circa 20-30 Paesi. Ancora una volta, quindi, la guerra più che essere la causa diretta e immediata si mostra come una sorta di ‘trigger’ – innesco – che da una parte accelera dinamiche esistenti, dall’altra rende la crisi più immediatamente visibile e percepibile.
Tra le regioni del mondo quella del Medio Oriente e del Nord Africa sono tra quelle più duramente colpite e anche questo non è certo una novità. Secondo la Banca Mondiale[2], l’insicurezza alimentare in Medio Oriente e Nord Africa è da anni una sfida crescente. Anche prima del COVID-19, le agenzie delle Nazioni Unite stimavano che oltre 55 milioni della popolazione, su un totale di 456,7 milioni di persone, fosse sottonutrita.
La pandemia, i conflitti prolungati ed altri fattori rendono la fame più comune.
Nel 2020, la quota regionale delle persone che soffrono di gravi insicurezze alimentari era del 20%, una percentuale sproporzionata rispetto al 6% della popolazione rappresentata su base globale.
Attualmente, solo alcuni dei paesi della regione del Medio Oriente e del Nord Africa riescono ad imporre la loro forza come produttori di combustibili fossili. Nell’insieme si tratta del gruppo di paesi più fortemente colpiti dal blocco del grano ucraino e russo.
La Russia e l’Ucraina sono due dei maggiori esportatori di grano al mondo con, nel 2020 una quota di produzione sul totale delle esportazioni globali 18,7% per la Russia e del 9,1% per l’Ucraina. Il 40% delle esportazioni di grano e mais ucraino è destinato alla regione MENA, in particolare nel caso del Libano i dati mostrano importazioni nel 2020 per l’81% del grano dall’Ucraina e per il 15% dalla Russia[3]. Un motivo di ulteriore preoccupazione per la situazione della regione deriva dal ruolo del PAM nel sostenere i milioni di sfollati e rifugiati che in questa area del mondo sono presenti. Le fonti di approvvigionamento dell’Agenzia ONU erano, infatti, largamente proprio in Ucraina, ed è ora necessario trovare una rapida alternativa.
Le conseguenze più durature e drammatiche della guerra in corso sono però anche altre, e forse ancora più gravi, non tanto per le implicazioni immediate quanto per la diminuita capacità della comunità internazionale nel reagire alle sfide che la storia ci mette davanti.
I colpi inferti dalla crisi in atto al sistema multilaterale rischiano di riportare la comunità globale ad una situazione nella quale i nuovi rapporti di forza di un mondo ormai definitivamente multipolare si traducono in una specie di legge della giungla: non si riesce a far percepire la propria presenza e comunità nazionale se non schierandosi con uno dei blocchi che si fronteggiano in modo sempre più minaccioso.
E anche su questo, non si può certo dire che il sistema multilaterale fosse in gran forma anche prima dell’invasione dell’Ucraina. Le concessioni ad un sistema corporate, ormai decisamente in grado di condizionare le politiche dei paesi e delle istituzioni pubbliche multilaterali su temi cruciali come il cibo e la salute – basti pensare alla vicenda della richiesta di sospensione temporanea dei brevetti sui dispositivi anti-COVID19, rigettata nonostante il diffuso sostegno da parte di molti paesi, proprio a causa dell’opposizione dell’Italia e dell’Europa – non hanno giovato all’autorevolezza del multilateralismo ed alla credibilità del ruolo dei paesi occidentali all’interno di questo sistema. Anche in questo caso, la guerra porta alle estreme conseguenze tendenze in qualche modo già in movimento.
C’è molto da ricostruire. Ed è quello che attendono le comunità più fragili del Pianeta.
[1] In una recente intervista ad Al Jazeera https://www.aljazeera.com/economy/2022/6/3/ukraine-war-aggravating-existing-global-food-crisis-un-warns
[2] https://www.worldbank.org/en/news/opinion/2021/09/24/mena-has-a-food-security-problem-but-there-are-ways-to-address-it
[3] https://www.greenpeace.org/international/story/53163/russia-invasion-of-ukraine-supercharging-food-insecurity-middle-east-north-africa/