Per chi suona la campanella del primo giorno di scuola: per molti, ma non per tutti!
Settembre è un mese di ripartenza. La ripresa delle scuole, e per molti anche l’avvio di un nuovo ciclo scolastico, segna nel nostro Paese la vita di tante famiglie e tante ragazze e ragazzi. Quello ad avere accesso almeno ad una forma di scolarizzazione gratuita di base è un diritto riconosciuto all’Articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, che lo contempla anche nella nostra Costituzione, all’Articolo 34.
La frequenza scolastica non è soltanto funzionale all’acquisizione delle competenze di base, necessarie per destreggiarsi nella vita quotidiana in modo attivo e consapevole, ma danno un contributo positivo alla costruzione della società.
La scuola svolge un ruolo fondamentale nel definire uno spazio di interazione davvero pubblico e trasversale: soprattutto nella scuola primaria e nella secondaria di primo grado, la frequenza scolastica rappresenta un’occasione di conoscenza e di socializzazione tra persone e gruppi della società e che, forse, non avranno più la possibilità di incontrarsi, in questa modalità, in tutta la propria vita.
In una società solcata da disuguaglianze sempre più profonde, è l’unico spazio di questo tipo. Non a caso, la scuola è una sorta di termometro sociale rispetto allo stato di salute di un Paese. A essere colpite, in primis, dalle situazioni di crisi, sono, infatti, proprio le istituzioni scolastiche. Basti dare uno sguardo a due dei Paesi interessanti dalla Campagna “La pace va oltre” quali Libano e Siria: il primo schiacciato da un tracollo economico di proporzioni gigantesche che ha impoverito nel giro di pochi anni circa 4 milioni di persone, molte delle quali sono costrette a scegliere ogni giorno se dare da mangiare ai propri figli oppure mandarli a scuola, i soldi non sono sufficienti. Tuttavia il sistema educativo in tutto il Libano era già debole anche prima della pandemia di COVID-19, con solo il 52% dei bambini della scuola primaria che proseguiva a frequentare la scuola secondaria. La pandemia ha, purtroppo, aggravato la crisi dell’istruzione, in particolare per i minori rifugiati che hanno un accesso limitato sia all’istruzione formale che all’apprendimento online.
Per quanto riguarda la Siria la situazione continua a essere più che drammatica: 11 anni di una guerra ancora lontana dalla fine, un popolo in diaspora all’interno e all’esterno del Paese. Oltre 14,6 milioni sono le persone che necessitano di aiuti umanitari, quasi 2.5 milioni i bambini che in Siria non hanno il diritto all’istruzione.
Investire sulla scuola, soprattutto su quella dell’obbligo, non è un atto di ‘umanitarismo’, quanto è una risposta necessaria ad una urgenza assoluta: preparare una società in grado di reagire alle sfide che il nostro tempo ci propone, costruendo risposte condivise in una prospettiva di Bene comune, in Italia e nel mondo. Le sfide della pace, del cambiamento climatico, di un modello di produzione e consumo ormai insostenibile richiedono di essere affrontate con uno sguardo inclusivo, in grado di elaborare una visione basata sui diritti e sul rispetto di ogni persona.
L’investimento, quindi, sulla scuola è davvero fondamentale, vi è, tuttavia, il rischio che nessun governo giochi le sue carte migliori in un ambito nel quale risultati concreti sono evidenti soltanto dopo molti anni e dove il consenso politico è molto inferiore alla reale importanza sociale che ha per il futuro del paese stesso. È necessario prendere seriamente una questione che tocca tutti da vicino. Un esempio: la generosa accoglienza offerta nel nostro paese ai ragazzi e alle ragazze in fuga dall’Ucraina. In moltissimi, all’apertura di questo anno scolastico, saranno presenti nelle aule delle nostre scuole; spesso in situazioni nelle quali esistono altri ragazzi e ragazze provenienti da altre culture che lottano per ‘rimanere a bordo’ del percorso scolastico, che può rimanere riservato solo a chi ha mezzi e risorse, anche culturali.
Chiunque abbia figli o nipoti in età scolare sarà stato testimone di come ragazzi privi degli strumenti di base per seguire con profitto lezioni e per riuscire a costruire interazioni con i compagni sviluppino una, non sorprendente, insofferenza nei riguardi della scuola, diventando loro stessi elementi ingovernabili di una situazione causata da una mancanza di attenzione strutturale nei loro riguardi.
Se poi si entra ad osservare i singoli casi, contenendo o punendo le manifestazioni più estreme; occorrerebbe avere uno sguardo di maggiore lucidità su quanto la scuola nel suo insieme dovrebbe fare. Forse occorrerebbero più mediatori culturali, più insegnamento di lingua italiana, una scuola che sia più ‘osservatorio sociale’ in grado di prevenire le situazioni di marginalità più grave. Sarebbero necessarie tutte queste azioni più di quanto serva costruire un nucleo di ‘superinsegnanti’, all’interno di una categoria che nel suo insieme meriterebbe maggiore considerazione sociale e un migliore riconoscimento economico.
Ciò non può essere decontestualizzato dalla cornice dei diritti. I ragazzi e le ragazze devono essere tutti sullo stesso piano e posti nelle medesime condizioni di base. La miserevole imprenditoria politica, di chi ha alzato le barricate contro l’ovvio e necessario riconoscimento dello ius scholae alle seconde generazioni delle comunità straniere in Italia, difende in realtà una grossolana violazione del principio di uguaglianza per ragazzi e ragazze che non hanno altra casa se non il nostro Paese, anche se hanno la pelle di un colore diverso e un nome che richiama terre lontane. Chi costruisce barriere sta scommettendo sulla propria fortuna politica sostenuta da un ‘noi’ sempre più chiuso e asfittico, sempre più contrapposto a un ‘loro altri’ che si devono ‘guadagnare’ il diritto alla dignità.
Papa Francesco nella Fratelli tutti ci richiama: è solo costruendo un ‘noi più grande’ che comprendiamo veramente chi siamo, e possiamo realmente contribuire alla costruzione del Bene comune e una vita più piena, nel nostro Paese come nelle terre martoriate del Medio Oriente e in tutto il Pianeta.
La scuola è davvero il primo passo di questo lungo e difficile percorso.